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Un racconto di Donato Carrisi

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Ho l'abitudine di destarmi di soprassalto. Non ho una sveglia. A un tratto il sonno s'interrompe e i sogni scivolano via, inghiottiti per sempre in un buco nero della mente come nello scarico di un lavandino, senza lasciare avanzi nella memoria. E tutto torna a essere, improvvisamente. Sempre alla stessa ora. Ogni mattina. Ma stavolta è diverso. Allungo un piede verso la parte del letto che non uso più. E lo sento. Vado a pescarlo con l'alluce e lo tiro su. Lo osservo. Pizzo rosa. Quarta misura. Coppa C. Il reggiseno teso fra le mie dita fa bella mostra di sé. E mentre la mia immaginazione vola al contenuto, mi dico «non è la sua misura…». Ho gettato tutto quando se n'è andata. Allora chi? Sfioro con una mano le lenzuola, cercando un solco o tracce di calore accanto a me. Non ne trovo. Non ci sono nemmeno capelli sul cuscino. Non ricordo nulla di ieri sera. Sarò andato a letto ubriaco di vodka e di dolore, come al solito. È agosto, e sono solo. Nel palazzo sono tutti partiti per il mare delle ferie. Io invece resto qui, e infesto come un virus questo alveare vuoto. Non so nemmeno come chiamarla. «Hei!», dico. Ma l'eco opaca dell'appartamento mi restituisce solo la mia voce. Con quel mistero mi alzo e vado in bagno, a sedermi sui miei pensieri. Rumino a mezza voce possibili spiegazioni. I primi tempi ho cercato rifugio e sfogo in corpi estranei. In passioni deliranti e peccaminose, redente solo dalla fatica dello sforzo amoroso. Passioni che, dopo, rimanevano sospese come fantasmi in un imbarazzante silenzio, falso oblio che segue il sesso fra sconosciuti. Per questo da un po' ho adottato un'autarchia dei sensi. Cosa mi ha spinto a rompere questo patto con me stesso? Chi è la misteriosa donna - quarta misura, coppa C - che stanotte ha invaso la mia casa? Ha lasciato solo un segno del suo passaggio nel mio letto, quasi sapesse che mi sarei dimenticato di lei. E io mi ritrovo qui a sperare che torni, prima o poi. Come se anche questo piccolo ab-bandono mi facesse male. Vado in cucina. Preparandomi un caffè, punto il telefono e premo il tasto che replica l'ultimo numero chiamato. Spero di riconoscere il confortante suono di una voce femminile. Niente, squilla a vuoto. La memoria è inceppata, come la mia vita. Chi sei? Guardo fuori. Deserto d'asfalto e cemento. Sole spietato che si preannuncia all'orizzonte. Mi-raggi di vapore fra le lamiere. Dove sei adesso? Mi trascino lungo il corridoio con quel reggi-seno fra le dita e un pensiero fisso che rischia di diventare una perfetta ossessione. Mi sto in-namorando di un'idea. È allora che mi blocco. E osservo. E mi stupisco. La porta d'ingresso è chiusa dall'interno.

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